giovedì, luglio 18, 2019

Questo post è stato riesumato dalla cartella delle bozze dopo quasi due mesi di stagionatura, gli eventi a cui faccio riferimento quindi risalgono a maggio. E se vi chiedete se nel mentre è arrivata la risposta... ovviamente no.

Mercoledì scorso è stata una giornata che definirei rocambolesca: ho portato la iena al pronto soccorso dopo che si era infilata un seme di mela in un orecchio all'asilo, avevo altre mille cose da incastrare e a contribuire allo scombussolamento generale è sbucato un fantasma del passato che mi ha riportato alla luce una serie di pensieri e riflessioni. Potere dei social: una persona che non sentivo più da 15 anni mi ha contattata su Instagram. Dopo un primo momento di ilarità generale durante in quale ho mandato foto della notifica alle mie amiche di una vita per farle sorridere ho riflettuto su una cosa.
A volte mi capita di pensare a tutte le persone che ho incontrato nella mia vita (sia in carne e ossa che sulle chat che in gioventù frequentavo assiduamente): chissà dove le ha condotte la vita? Avranno realizzato i loro sogni? Hanno dei figli anche loro? Li riconoscerei se li incontrassi per strada? In fondo buona parte di queste persone le ho conosciute forse nel momento della vita in cui ancora tutto può essere. Nessuna di queste persone è diventata famosa, nessuna è finita sul giornale per qualche motivo: saranno tutte persone ordinarie? Io non credo, straordinari sotto sotto lo siamo tutti, chi nel piccolo e chi nel grande.
Cosa voleva il mio fantasma? Niente di che, chiedeva cose per un'amica, ma non sono stata in grado di aiutarlo. Ho scritto due righe su di me, ho salutato cortesemente e ho cliccato su invia. Anzi, il guerriero ha cliccato su invia perché mi ronzava attorno da decine di minuti (avevo diverse mail da mandare) e voleva schiacciare qualcosa anche lui, ovviamente. E' passata ormai una settimana e non ho ricevuto nessuna risposta: credo che rimarrò con la curiosità per quanto riguarda le domande di cui sopra. A 20 anni questa cosa di non ricevere risposte mi logorava, oggi onestamente ho imparato a conviverci. C'è stato un periodo della mia vita in cui era più il tempo che passavo scrivendo cose di quello che passavo dialogando di persona con gli altri: scrivevo, scrivevo, scrivevo su una tastiera che forse conservo ancora da qualche parte, una di quelle coi tasti che facevano tac tac e la barra spazio rotta- dondolava e funzionava solo se la premevi esattamente al centro.
Scrivevo anche su fogli a quadretti grandi, usando il quadretto come misura per le lettere alte, spingendo molto sulla punta della penna: alla fine avevo i crampi alla mano e i fogli stavano rigidi, tutti incurvati dai segni che avevo praticamente inciso sopra. Solo domenica ho capito che non ne valeva la pena di logorarmi per tutte le risposte che non ho mai ricevuto: ero grafomane e non lo sospettavo neanche lontanamente. Ho ripulito una cassettiera che avevamo in camera da letto e ci ho trovato milioni di lettere, bigliettini, cartoline che avevo scritto al programmatore in una vita passata. Mentre lui giocava coi bimbi ogni tanto gli portavo a far vedere queste paginate miniate e gli ho chiesto come mai non mi avesse mai mandata nel casino. Scrivevo e raccontavo cose, i pensieri uscivano dalla testa e si depositavano sul foglio- reale o virtuale che fosse. Scrivevo perché forse era l'unico modo che avevo per elaborare le mie emozioni, per paura che tutte quelle cose potessero scappare via e che finissero perse da qualche parte. Conservo ancora tutti i miei temi del liceo, per dire. Scrivevo perché ero convinta che fossero cose importanti che valeva la pena ricordare: mi rendo conto solo ora che le cose veramente importanti alla fine le ho solo vissute, a volte le ho raccontate a voce e molto raramente le ho scritte.
Ed è qui forse che in questi 15 anni mi ha condotto la vita: sono molto diversa da allora, soprattutto sento che la maternità mi ha cambiata molto, mi ha dato una prospettiva assolutamente nuova ed inedita sulla vita, sul mondo e quello che voglio essere. Scrivo ancora, ogni tanto, soprattutto qui sopra, racconto piccole cose che mi colpiscono, ma non ne faccio più una malattia. E no, non è una scusa per giustificare la mia assenza su questi schermi, forse è lo stesso motivo che mi porta sempre a perdere l'istante giusto per una foto o un video, perché la vita vera adesso mi piace godermela in diretta, senza filtri.

giovedì, luglio 11, 2019

La scuola dell'infanzia è finita, l'asilo del guerriero andrà avanti fino a fine mese, ma non lo frequenta tutti i giorni e oggi eravamo a casa tutti e tre. Avevo un programma: saremmo dovuti andare a pranzo con una mia amica che non vedo da tempo, ma niente. Ormai però avevo promesso ai bimbi un pranzo a zonzo così ho pensato di portarli alla mostra che c'è in questo momento al mastio della Cittadella: Uomo virtuale.
Regola numero uno, sempre e comunque: i viaggi, le mostre, il teatro, una cena al ristorante, una passeggiata, tutto quanto coi figli non sarà mai come farlo soli o in coppia. E' importante secondo me fare pace con questa idea, perché è l'unico modo che vi/ci permetterà di godere di tutto quanto senza rimorsi o rimpianti e senza che le nostre aspettative vengano disattese. Quindi, li porto sì alla mostra, ma so già che dovremo tornarci un altro paio di volte per vederla tutta quanta: abbonamento musei e passa la paura, quest'anno l'ho fatto anche per la iena che ha compiuto 6 anni e in molti posti pagherebbe.
Con le dovute premesse quindi entriamo e iniziamo la nostra esplorazione: la giornata è ideale perché siamo praticamente soli e calca e bambini non vanno d'accordo.
Non me la sento di dare un giudizio troppo tecnico sulla mostra perché oggettivamente non l'ho vista così bene, però mi è piaciuta molto, il giusto mix di cose da vedere, da leggere e con cui interagire, ideale per catturare pubblici diversi.
Mi limiterò invece a dirvi se ai bimbi è piaciuta: da morire e ci vogliono assolutamente tornare col programmatore. Mi sarebbe piaciuto poter registrare e cogliere il momento esatto in cui mio marito è entrato in casa dopo il lavoro e ha chiesto alla iena e al guerriero cosa avessimo fatto oggi. E' stato impressionate scoprire quanto di tutto quello che avevamo visto e fatto gli era rimasto in testa, l'entusiasmo e la precisione con cui sono stati in grado di raccontarlo- ognuno con parole sue, ovviamente. Sono rimasta davvero colpita da quei 10 minuti di racconti e non ho potuto non pensare alla signora di quella volta là, perché la iena aveva proprio la stessa età del guerriero oggi. Chissà cosa mi avrebbe detto oggi, con quali parole sottili mi avrebbe fatto notare che neanche quello, probabilmente, era un posto adatto ai bambini.
Tre anni fa era una domanda, oggi invece è un'affermazione della quale sono fermamente convinta: le arti sono per tutti.