mercoledì, luglio 15, 2020

L'altro giorno abbiamo inforcato le bici (la iena ormai viene con la sua, la taga la usiamo solo io e il guerriero) e siamo andati al giardinetto ad aspettare il programmatore che tornava dall'ufficio,  anche lui in bicicletta.
Non c'erano tanti bimbi, giusto un paio, ma vorrei parlarvi di quello con cui hanno giocato di più i miei figli. Era lì con la nonna, la temperatura esterna si aggirava intorno ai 30° e lui aveva una camicia a maniche corte, un paio di jeans, i calzini e i sandali. Correva e si rotolava sui giochini insieme alla iena e al guerriero, quando ad un certo punto si è avvicinato alla nonna cercando di togliersi la camicia. La nonna gli ha intimato che, se se la fosse tolta, sarebbero tornati a casa.
La iena si lascia vestire tranquillamente, basta preparagli le cose in vista e se le mette senza fare tante storie, quasi sempre dal verso giusto. Il guerriero invece detesta i bottoni, tutto quello che ne ha almeno uno in dotazione viene automaticamente catalogato come "elegante" e quindi inadatto a qualsiasi attività lui voglia svolgere. Vivrebbe in tuta insomma: l'unica camicia che sono riuscita a fargli indossare è stata quella che aveva al matrimonio di mia sorella la scorsa estate, l'ha vestito il programmatore per l'occasione e non penso sia stato facile.
Mi ha fatto molta tenerezza questo bimbo con la camicia e i jeans al giardinetto al mese di luglio, ingessato in un guscio che non era chiaramente il suo. Ha provato ad uscirne ed è stato immediatamente redarguito col peggiore dei ricatti "la camicia o il giardinetto". Ho pensato a quante volte ingesso i miei figli in qualcosa che non sentono loro solo perché penso che in quel momento sia la cosa migliore (voglio pensare che la nonna l'abbia vestito così perché prima del giardinetto avevano avuto altri impegni più mondani), ai loro modi di farmi intendere che no, non è quello che vogliono: alla iena che fa il sassolino e al guerriero che inizia a lanciare tutto quello che è a tiro, che ti guarda e dice "ehnnnnno". Al ricatto che inevitabilmente mi esce dalla bocca perché a volte sembra l'unica arma a mia disposizione di fronte al muro di gomma, magari dopo una lunga trattativa sindacale conclusa in un niente di fatto. A come si fa a spiegare ad un bambino che poi, nella vita, la camicia a volte dovrà tenerla addosso anche quando vorrebbe mettersi il costume da bagno e non potrà fare il sassolino o smontare l'ennesima astronave Lego per farsi ascoltare da qualcuno.
Poi però ti ricordi che sono bambini, l'estenuante trattativa sindacale porterà sempre ad un nulla di fatto, mentre magari un cambio di prospettiva può salvare la giornata -e la camicia. In un giardinetto in riva al Po, ad esempio, camicia e jeans ti possono salvare dall'avanzata dell'esercito di zanzare che verso le 17,30/18 inizia la sua cavalcata tra gli scivoli e le altalene: chissà come sarebbero andate le cose se la nonna avesse usato le zanzare invece del solito ricatto.

lunedì, luglio 13, 2020

Questa mattina sui social è tutto un fiorire di in bocca al lupo agli studenti che, in questo 2020 così pazzo, si troveranno ad affrontare un esame di maturità come non era mai successo.
Quest'anno non ci sarà il solito scambio di opinioni con la mia amica di sempre sui titoli di temi e "e tu cosa avresti scelto?", non potrà uscire una versione di latino tipo quella di allora: i maturandi avranno un esame decisamente diverso da quello che fu il nostro, venti anni fa.
Il mio problema con la maturità è che mi sembra di aver sostenuto l'esame il mese scorso, ed è così da 20 anni: ho 19 anni da 20 anni praticamente.
Non sono mai stata una studentessa modello, gli anni del liceo sono stati intensi, ho coltivato le mie passioni e ho dedicato decisamente più tempo ad altro che non allo studio, almeno per quel che riguarda le materie che a fatica mandavo giù. Ancora oggi sogno il rientro a scuola a settembre e la paura di non ricordare più nulla di tutto quello fatto l'anno prima, di non essere più in grado di tradurre una sola riga del primo compito in classe dell'anno.
Mi ero però messa in testa una cosa: alla maturità dovevo fare una figura decorosa e ho deciso di impegnarmi molto per perseguire il mio scopo. Avevo preparato una tesina molto carina e in linea con i miei interessi, avevo studiato molto e mi ero esercitata, sapevo di poter fare bene. Di tutto quello studio il ricordo che mi resta è soprattutto quello passato con i miei compagni di classe, coi quali ho condiviso gioie e dolori, appunti e riassunti, momenti di tensione e risate, la voglia e il bisogno di farcela insieme a superare questo scoglio. Perché in fondo per me era quello, uno scoglio da superare per arrivare al mare aperto, a quello che sarebbe stato della mia vita: cosa sarei diventata? Cosa avrei voluto per me? In fondo in quel preciso momento, in quel mese di giugno 2000 era ancora tutto da scrivere, era solo energia potenziale.
Quest'anno mi sarebbe piaciuto molto ritrovare i miei compagni di classe, sarebbe stato bello scoprire dove ci ha portati la vita in questi 20 anni. Di alcuni ho completamente perso le tracce, di altri so qualcosina, altri ancora sono le amiche di sempre: tutti ormai siamo diventati grandi, una cosa che 20 anni fa sembrava così lontana nel tempo e invece adesso è già qui.
In bocca al lupo agli studenti del 2020: credo che la me diciannovenne avrebbe sofferto molto la situazione in cui vi siete trovati. L'ultimo anno del liceo per me è stato soprattutto relazione, prima ancora che studio e nozioni; è stato l'anno in cui ho capito che forse è vero che nessuno si salva da solo.

(Sì, lo so avrei dovuto cliccare su "pubblica" un mese fa, quando l'ho scritto. Mi sembrava mancasse un finale e invece, rileggendolo oggi, mi sembra perfetto così)