mercoledì, settembre 25, 2019

Quando ero una bambina avevo fatto pubblicare il mio indirizzo su Giochiamo- il giornalino dei lupetti- perché cercavo amici di penna. Mi scrissero davvero in tanti e con alcuni di loro continuai a scambiare lettere per diversi anni: la posta mi ha sempre affascinata, quando tornavo a casa da scuola mia mamma mi lasciava le lettere sul letto e io non vedevo l'ora di aprirle. Era un po' come ricevere un regalo, una sorpresa: non sapere mai cosa ci avrei trovato dentro mi emozionava. Da che ne ho memoria ho sempre scritto lettere, dagli amici di penna dei lupetti fino al corteggiamento multimediale con il programmatore.
Avere amici di penna e aspettare le loro risposte mi ha aiutata ad esercitarmi nell'attesa e ad avere pazienza: non sapere se e quando sarebbe arrivata una lettera era bello, ma allo stesso tempo impegnativo.
Negli ultimi 30 anni le cose sono molto cambiate: dalle settimane di attesa per una lettera, siamo passati alle mail, la prima vera rivoluzione del nuovo millennio, almeno per quanto riguarda la sottoscritta. La lettera si spediva con un clic e arrivava subito a destinazione; a volte nel giro di poche ore si poteva ricevere una risposta, una cosa folle. Certo non era come oggi: la posta elettronica non la si controllava tutti i giorni più volte al giorno e non sempre era tutto così veloce, ma sempre meglio di carta e penna.
Gli anni sono passati in fretta e oggi tutti abbiamo uno smartphone che in maniera autonoma continuamente controlla se ci sono nuovi messaggi: siamo tutti ossessionati dalle spunte blu, dagli ultimi accessi e non sappiamo più aspettare una risposta.
A questo pensavo oggi mentre attendevo notizie da casa: al fatto che per fare qualcosa ci vuole tempo e il tempo non passa più velocemente controllando ossessivamente il telefono. Ogni cosa ha il suo tempo e invece ormai ci siamo abituati a ricevere risposte immediate a qualunque domanda, a qualunque esigenza.
Aspettare è diventato difficile, insopportabile e mi manca quell'euforia che accompagnava il ritorno da scuola, quando tutto poteva essere, quando forse avrei trovato una lettera ai piedi del letto.

martedì, settembre 17, 2019

Piccolo disclaimer iniziale: non ho nessuna intenzione di idealizzare una realtà che non conosco, mi limiterò a descrivere quello che ho visto e le sensazioni che ho avuto da turista. Vivere in una città, qualunque essa sia, ha sicuramente i suoi pregi e i suoi difetti: passandoci solo una settimana in vacanza si tende a ricordare molto bene i primi e a non avere abbastanza tempo per conoscere i secondi.

A Berlino i bambini girano da soli, a bordo di monopattini, skateboard, biciclette a volte più grandi di loro o semplicemente sulle loro gambe. Si muovono sui marciapiedi e sulla strada con una discreta padronanza del mezzo e portandosi addosso ciò che gli serve, che sia lo zaino di scuola o uno strumento musicale. Ne ho visti tanti, troppi per pensare che si trattasse di casi sporadici. Ho cercato di pensare al perché: in fondo non è una piccola città, non è poco trafficata, non è un paesello di campagna. La conclusione alla quale sono giunta è che si tratti di una mera questione di mentalità: forse noi tendiamo ad essere troppo protettivi o loro troppo libertini, non so davvero quale sia la risposta. Quello che sicuramente è vero è che c'è una diversa mentalità per quel che riguarda tutto il mondo dell'infanzia: non so come funzionino le loro scuole, però una città dove i bambini sono liberi di avere un loro spazio nel mondo credo sia un bel posto dove vivere. Un posto che ha deciso di investire sul suo futuro, un posto con quel tipo di lungimiranza che qui, salvo rari e sporadici casi, vedo sempre di meno.
La iena ha iniziato la scuola primaria e il guerriero la scuola dell'infanzia e la prima notizia certa che abbiamo ricevuto dal dirigente scolastico è che, ancora per la prossima settimana, non ci sarà il tempo pieno perché mancano gli insegnanti. Un paese che ogni anno a settembre si ritrova in questo stato non è un paese che sta investendo sul suo futuro: è un paese che non capisce che la scuola è un tassello importante nella vita dell'individuo, che la famiglia sicuramente ci mette del suo, ma i nostri figli stanno a scuola per 7 ore 5 giorni su 7, non è poco. E se la nostra scuola non è più in grado di preparare i nostri figli è, secondo me, perché non c'è nessuna continuità, nessuna progettualità a lungo termine, è tutto un cercare di mettere una pezza ad una situazione che si è creata, sta sfuggendo di mano e, apparentemente, nessuno sembra essere in grado di aggiustare.
E così anche quest'anno si riparte, nonostante tutto. Nonostante la maestra della iena cambiata all'ultimo momento, nonostante la carta igienica e il sapone che mancano e i mille progetti che si vorrebbero fare, ma per i quali mancheranno i fondi.
Però voglio pensare positivo: la mensa è diminuita un po' e nella classettina dell'infanzia che frequenta il guerriero è già arrivata la maestra mancante e, per la prima volta, sembra essere una persona normale (nei tre anni precedenti con la iena era sempre stato un calvario). Buon anno scolastico.



Ah, il titolo del post è ovviamente ispirato al film di Daniele Luchetti, sempre attualissimo nonostante i suoi quasi 25 anni.